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sabato 21 gennaio 2012

Il movimento dei forconi: questa non è rivoluzione

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Con lo svolgersi della crisi peggiore degli ultimi cento anni è sicuramente possibile che movimenti di matrice reazionaria trovino fertile humus nel malcontento generale: quello che succede in Sicilia in questi giorni ne è un esempio.
Per comprendere la natura di ciò che sta accadendo occorre tener presente l’assetto politico generale dell’isola: il governo Lombardo quarto ha contato fino a pochi giorni fa sull’appoggio trasversale di Pd e Mpa, Fli, Api e Udc, condizione che garantiva comodi e lauti guadagni per le molteplici espressioni della borghesia locale. Oggi tale coalizione è in crisi, con il rischio per il terzo polo di diventare dunque una forza minoritaria: l’Udc ha già da qualche settimana mollato il governatore attendendo di scegliere la collocazione più proficua.
L’Mpa si ritrova quindi a fare i conti con una situazione di grande difficoltà ed in questo contesto trova la sua espressione il “movimento dei forconi” e “forza d’urto”.
La Sicilia è da sempre considerata terra del profitto per la borghesia locale mafiosa che manifesta stretti legami con la politica: non ne è certo esente il Pd come dimostrano le avventure di Crisafulli, Capodicasa e anche della stessa Finocchiaro, che  con le dovute differenze, hanno per anni messo mani sugli appalti dell’isola.
In tale contesto un riequilibrio dei poteri in Sicilia può esigere il ricorso alla mobilitazione del settore più arretrato dei lavoratori e della piccola borghesia che è stato prontamente spalleggiato dall’estrema destra, i cani da guardia della borghesia.  Imprenditori, agricoltori, autotrasportatori, armatori dei pescherecci: insomma padroni e padroncini, che con un manifesto politico blando potevano raccogliere facilmente il malcontento popolare.
È gioco forza che la piccola borghesia, soccomba, in condizioni stagnanti, all’attacco padronale teso al concentrare sempre più il profitto: essa oscilla di conseguenza, tra reazione e voglia di riscatto, tra programmi reazionari e posizioni avanzate. In quest’ultimo caso, la premessa ovvia è che vi sia un movimento di classe sul  territorio.
Nel caso siciliano la matrice del movimento è essenzialmente reazionaria: i forconi rivendicano la defiscalizzazione dei carburanti, l’uso dei fondi europei per lo sviluppo da destinare all’agricoltura, il congelamento delle procedure di Equitalia Serit per la riscossione dei tributi, richieste che possono ad un occhio inesperto apparire popolari e pertanto trasversali ma che in realtà celano un chiaro connotato politico. La piattaforma organizzativa non mette in alcun modo in discussione i poteri locali e i poteri forti, quelli della borghesia, concentrando la polemica solo sul mancato finanziamento da parte del governo Monti e su richieste che, se si valutano nel concreto, non beneficiano che i padroni. Lo si legge tra le parole di Fiore di FN: Inoltre, “è necessario che venga attuato subito l’art 40 dello Statuto siciliano che prevede che il Banco di Sicilia emetta denaro unilateralmente per fronteggiare il crollo sociale in atto. Questa misura statutaria, oltre che la riduzione della benzina a 70 centesimi, e’ la mina sociale che Forza Nuova, a fianco di agricoltori e autotrasportatori, intende fare esplodere”.
Trova così spazio un’ideologia del tutto conservatrice che fornisce spazi alle ideologie neofasciste: Forza Nuova infatti ha da subito preso parte a tale movimento, e lo stesso Bossi si è scomodato a dare sostegno, attraverso la Padania.
In aggiunta basta fare un’analisi del territorio, osservando dove il movimento è più forte:  Agrigento, Caltanissetta ed entroterra catanese. Località in cui Forza Nuova possiede i maggiori nuclei organizzati, i bacini elettorali prediletti per l’Mpa. I capi della protesta hanno connotazioni poi inequivocabili.
Martino Morsello, 57 anni  di Marsala, ex imprenditore, già deus ex machina di ‘Altragricoltura’. E’ stato consigliere comunale a Marsala dal 1980 al 1993 e più volte Assessore per conto del Partito Socialista Italiano di Bettino Craxi. Nel 2008 candidato all’Assemblea Regionale Siciliana per la lista degli autonomisti a sostegno dell’attuale governatore della Regione Siciliana, Raffaele Lombardo. Tra i punti del suo programma figurano anche i condoni previdenziali per le attività agricole artigianali ed industriali. Ultimamente si è avvicinato a Forza Nuova partecipando, lo scorso 10 gennaio al congresso nazionale del movimento neofascista dove ha dichiarato: “Forza Nuova, unico partito con cui interloquiamo”. È titolare del dominio internet “movimentoforconi.it” e gestisce, assieme alla figlia Antonella, dipendente di Forza Nuova di Terni, la pagina Facebook del movimento.
Mariano Ferro, imprenditore agricolo di Avola, ex Forza Italia, ex Mpa con ambizioni in politica, candidato in passato alle amministrative, a sindaco di Avola e poi alla Camera, ma senza successo. Da sempre ha indicato chiaramente il proprio sostegno a Lombardo che ha sostenuto alle ultime regionali.
Pippo Gennuso a Rosolini, centro agricolo del siracusano. Gennuso, appartiene all’Mpa,  ed è in lotta con il governo nazionale da anni.
Giuseppe Richichi, 62 anni, da un ventennio alla guida degli autotrasportatori dell’Aias: ex trasportatore, è tra i responsabili di un consorzio che gestisce un autoparco a Catania realizzato con fondi pubblici. Fu proprio Richichi, dodici anni fa, a mettersi a capo della protesta che per una settimana mise in ginocchio la Sicilia. In quell’occasione Richichi, molto abile a tenere i rapporti con la politica tanto da ottenere consulenze che  all’assessorato regionale ai Trasporti col governo Cuffaro, finì in carcere con l’accusa di avere tagliato le gomme ad alcuni tir per impedire che aggirassero la protesta, all’epoca ribattezzata ‘tir selvaggio”. Assieme a lui furono arrestati altri due membri dell’associazione, tra cui Nunzio Di Bella, 49 anni, altro storico leader degli autotrasportatori.
A capo di poche centinaia di uomini sparsi nella Sicilia, i leader di Forza nuova-Mpa hanno guidato una vera e propria serrata. Con atti intimidatori e mafiosi hanno bloccato tir, camion e furgoni e spesso automobilisti nella principali arterie stradali e svincoli: la minaccia più frequente il taglio delle gomme e dove ciò non è stato sufficiente si è arrivato al pestaggio (un caso accertato quello di Lentini, nel siracusano).  In molti comuni dell’entroterra siculo (Palagonia, Scordia, Militello) numerose testimonianze parlano di una vera e propria serrata che ha impedito ai braccianti di lavorare e  alle attività commerciali di restare aperte; diversi negozianti hanno dichiarato di aver subito pressioni pena l’incendio dei locali.  La parola sciopero è stata abusivamente sostituita a quella di serrata, consegnandola ai media locali, in un’ottica del tutto revisionista. Le forze dell’ordine si sono rivelate del tutto conniventi con quanto accade, garantendo grande agibilità ai manifestanti nei presidi.
In questo clima, come sempre accade quando la risposta a sinistra stenta ad arrivare, i fascisti prendono piede e minacciano l’estensione della loro azione.
Il movimento dei forconi crea infatti un precedente che le borghesie mafiose sono pronte a rispendersi altrove: già sono stati individuati altri referenti regionali,  (casualmente) tutti e tre di Forza Nuova. Si tratta di Umberto Mellino per la Calabria e, per il Lazio, Antonio Mariani, responsabile Agricoltura di Forza Nuova Frosinone. E infine di Fabiano Fabio di Foggia per la Puglia .
La nostra critica non ha nulla a che spartire con quella di Confindustria Sicilia, che con il suo presidente Ivan Lo Bello, dichiara di dissociarsi da tali manifestazioni ritenute “proteste esasperate, con forme di lotta che stanno causando ulteriori danni all’economia e ai cittadini siciliani. Le ragioni delle imprese rischiano di essere strumentalizzate dalla peggiore politica,  di sfociare in un ribellismo inconcludente aperto anche alle infiltrazioni della criminalità  organizzata e non”. Il documento è anche firmato dai vertici regionali di Confartigianato, Confagricoltura, Confederazione italiana Agricoltori, Cna Sicilia, Casartigiani, Confapi Sicilia, Confcommercio, LegaCoop, Confesercenti Sicilia, Confcooperative, UniCoop.
Il problema qui infatti non è la ribellione in sè, ma gli interessi che ci stanno dietro e i fini che un movimento si propone.
Il senso reale della protesta è sottolineare quali sono le organizzazioni politiche che fungono da serbatoio dei voti. Se non si sbloccano i finanziamenti, di modo che tutti i padroni locali possano continuare ad attingerne, tali serbatoi verranno prosciugati. Le manifestazioni cui si sta assistendo assumono connotazioni fasciste, come classicamente accade nel Sud italia perché la mafia, mera espressione dei poteri politici ed economici locali, utilizza le difficoltà economiche della classe per ripristinare l’ordine dei privilegi padronali. Una volta ottenuto ciò la protesta verrà fatta rientrare.
Leggere in tale movimento un carattere di classe, come è capitato inizialmente a molti militanti di sinistra, è quindi impossibile. Se è di classe, di certo non è la nostra classe. L’assenza di un programma politico chiaro tuttavia può aver fatto breccia tra alcuni settori di lavoratori autonomi, studenti, precari e disoccupati che attirati da una blanda piattaforma di rivendicazioni, in alcuni casi, si sono, sebbene in minima parte, aggiunti alla protesta.
Compito dei  comunisti è fare chiarezza. Occorre oggi comprendere la natura di tale movimento per non consentire alle destre di riorganizzarsi: prendere parte a tale iniziativa diventa lesivo della nostra identità e non consente di fare chiarezza  nei confronti dei lavoratori e degli studenti.
Come marxisti siamo consapevoli che il problema  del mezzogiorno non deriva dalla destinazione dei flussi economici: che sia un padrone siciliano od uno piemontese a gestire tali flussi non cambia che a pagare le conseguenze del sistema capitalista siano sempre e solo i ceti subalterni, sotto la gestione e il controllo di coloro che ci lavorano. Occorre oggi lottare per la nazionalizzazione del settore dei trasporti e dei settori produttivi alimentari. Se la benzina aumenta la responsabilità è delle multinazioni del petrolio e dei loro servi al governo: nazionalizzare l’intero settore degli idrocarburi deve essere la nostra risposta. Solo in questo modo sarà possibile il riscatto per il sud, incidendo sulla disoccupazione che è il terreno su cui gli imprenditori mafiosi riescono a radicarsi.
Ecco come interloquire con quei settori della piccola borghesia rovinata dalla crisi del capitalismo: sulla base di un programma rivoluzionario che metta in discussione il capitalismo. Non va certo in questo senso la dichiarazione di ieri della segreteria regionale di Rifondazione comunista, che oltre che tardiva e fiacca nei contenuti, sembra  giungere da un’altra era politica quando fa appello “a quei settori del Pd che si battono contro Lombardo e contro i poteri mafiosi”.
Unire le vertenze locali, partendo dal basso, promuovendo iniziative assembleari tra sindacati, partiti e movimenti anticapitalisti e antifascisti, tra lavoratori dei vari settori e studenti diventa prioritario: studenti ed operai uniti nella lotta, per l’alternativa di sistema!

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