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venerdì 31 maggio 2013

Petizione per nazionalizzare Ilva

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di Paolo Ferrero -
Gli operai della Cellula di Rifondazione Comunista dell’ILVA di Taranto, con la federazione tarantina di Rifondazione Comunista, lanciano una raccolta di firme che chiede la nazionalizzazione dell’azienda, il risanamento dello stabilimento di Taranto, la difesa dei livelli occupazionali, il controllo da parte dei lavoratori e della società civile sul processo di riqualificazione degli impianti e di bonifica del territorio e il potenziamento dei presidi sanitari locali. Il PRC ritiene che finalmente debbano essere le persone che giorno per giorno vivono un’insostenibile condizione di incertezza in merito al loro futuro ad esprimere un’opinione su quello che accadrà al più grande sito produttivo del paese. A questo scopo da domani inizierà una raccolta firme dentro il siderurgico jonico. L’obbiettivo è porre il governo di fronte alle sue responsabilità, sollecitandone l’intervento nell’unica direzione che porterebbe alla soluzione definitiva del “caso ILVA”, nonché la sola in grado di superare l’artificioso dilemma Ambiente/Lavoro.
Di seguito il testo della petizione.
Noi sottoscritti lavoratrici e lavoratori, chiediamo al governo di provvedere rapidamente alla nazionalizzazione dell’ILVA, al fine di realizzare senza ulteriori indugi i seguenti obiettivi prioritari:
·         Garantire e gestire la complessa opera di bonifica e la riconversione ambientale delle produzioni, mantenendo la produzione di acciaio in Italia e nei siti produttivi esistenti.
·         Utilizzare per queste opere gli enormi profitti realizzati dalla famiglia Riva, sottratti negli anni agli investimenti per abbattere l’impatto ambientale.
·         Garantire l’occupazione e il salario di tutti gli addetti – diretti ed indiretti -che oggi lavorano negli stabilimenti ILVA, senza che i lavori di bonifica e  riconversione produttiva pesino sulle lavoratrici e i lavoratori.
·         Sottoporre la gestione pubblica delle bonifiche, delle riconversioni e della produzione al controllo delle lavoratrici e dei lavoratori, dei Comitati e delle associazioni ambientaliste, per garantire la massima trasparenza della gestione pubblica e il pieno coinvolgimento di tutti i soggetti interessati.
·         Istituire all’interno dello stabilimento siderurgico un presidio sanitario gestito da Asl e Arpa, che faccia controlli più approfonditi ai lavoratori, che funzioni da vero cardine per la prevenzione e tutela della salute.


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giovedì 30 maggio 2013

Fiat, Wcl di Nola inattivo da sempre: stamane l'assemblea

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Categoria: Economia e Lavoro
30/05/2013

assemblea degli operai
Per la prima volta dalla nascita del reparto logistico di Nola, mai entrato a regime, i 300 cassintegrati si riuniranno davanti ai cancelli dell'impianto.

La prima assemblea operaia del reparto logistico di Nola si svolgerà stamane ( inizio alle 9 ) davanti ai cancelli della fabbrica realizzata dalla Fiat nel 2008. Assemblea fuori, dunque, non all’interno. Questo perché nell’impianto lavorano solo una decina dei 316 addetti trasferiti nel 2008 a colpi di manganello dallo stabilimento automobilistico di Pomigliano. Già perché per convincere il gruppone di “rompiscatole” a lasciare l’impianto madre furono necessarie tre cariche consecutive dei reparti antisommossa, spediti a Pomigliano per sciogliere il picchetto di ribelli piazzato sul vitale varco merci della grande fabbrica.

Ribelli ( molti, tra loro, gli attivisti sindacali e coloro che sono a ridotte capacità lavorative, i cosiddetti “rcl” ) mandati a realizzare un progetto abortito sul nascere. Il Wcl di Nola, situato nell’area dell’Interporto, un enorme scalo merci, era stato infatti concepito sulla carta come polo di smistamento dei materiali per tutti gli impianti Fiat dislocati al centrosud. Ma è una fabbrica fantasma. Nemmeno la nuova produzione Panda ha risollevato le magre sorti di questo rachitico sito. Nel frattempo per gli oltre 300 addetti la cassa integrazione scadrà agli inizi di luglio. Stamane toccherà ai sindacati firmatari dell’accordo Panda, Fim, Uilm e Fismic, spiegare ai cassintegrati la situazione e, soprattutto, come uscirne.


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martedì 28 maggio 2013

Ilva: Fiom, lo Stato deve intervenire

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Pubblicato il 28 mag 2013
di rassegna.it -
Tensione alle stelle a Taranto dopo il maxi-sequestro di 8 miliardi di euro disposto dalla magistratura nei confronti di Riva e le successive dimissioni in massa del Cda, due eventi che hanno riaperto ferite che i lavoratori stavano cercando faticosamente di rimarginare. I rischi di tensione sociale sono concreti. Lo sa bene la Prefettura, i cui funzionari nei giorni scorsi hanno fatto un giro di telefonate ai dirigenti sindacali locali invitando a evitare esasperazioni. Il ministro dello Sviluppo economico Flavio Zanonato terrà un primo incontro oggi (27 maggio) a Roma con Enrico Bondi, amministratore delegato della società. Ci sarà anche il governatore della Puglia Nichi Vendola, mentre nei prossimi giorni saranno coinvolti i sindacati.
Tra le ipotesi per la proprietà c’è la nomina di un nuovo Cda o, qualora l’assemblea del prossimo 5 giugno non dovesse nominarlo, il commissariamento. Terzo scenario, quello dell’esproprio (previsto dalla legge salva-Ilva nel caso in cui l’azienda non risponda agli impegni dell’Aia), ma sembra una via difficilmente percorribile. Ultima e meno probabile tra le ipotesi, la nazionalizzazione. Per farla servirebbe l’intervento dello Stato, o attraverso Cassa depositi e prestiti oppure tramite la controllata del Tesoro Fintecna. Ma sarebbe uno scenario da escludere, sia perché non lo permetterebbe l’Europa, sia perché considerato impraticabile per le finanze pubbliche.
“Nazionalizzazione dell’Ilva? Prima di tutto dobbiamo chiedere all’azienda il massimo impegno per realizzare gli investimenti che consentano di applicare l’Aia”. Così il sottosegretario allo Sviluppo economico, Claudio De Vincenti, a Tgcom24: “Puntiamo a fare in modo che lo stabilimento di Taranto e anche gli altri continuino nell’attività produttiva e continuino gli investimenti. Vorrei che fosse chiaro ai lavoratori e ai cittadini di Taranto che il governo non li lascerà soli. È interesse nazionale garantire futuro agli stabilimenti Ilva nel rispetto della salute e dell’ambiente”.
“La situazione è estremamente difficile. Il sequestro operato dai magistrati di Taranto fa venire meno risorse indispensabili per il risanamento dell’azienda”. A dirlo è Antonio Gozzi, presidente di Federacciai, ai microfoni di ‘Prima di tutto’ su Radio1. “Nelle prossime ore il punto focale è capire se esistono le condizioni per proseguire una normale attività o si debba giungere a soluzioni straordinarie. Io credo che questo avvenga perché ci si sta allontanando dal percorso previsto dalla legge salva-Ilva, che definiva gli interventi di risanamento ambientale che dovevano essere fatti, un sistema di controllo di questi interventi e eventuali sanzioni per inadempienze che si fossero verificate in questo percorso di risanamento”.

“Credo che la famiglia Riva abbia grosse responsabilità sull’accaduto. Se fossero stati fatti gli investimenti, se fosse stata rispettata la legge prima, se non si fosse inquinato, non saremmo nella situazione drammatica di oggi. L’obiettivo di tutti, sindacato compreso, è quello di continuare a produrre acciaio, dobbiamo, anche nelle condizioni difficili che ci si parano davanti, trovare una continuità produttiva per mantenere l’industria dell’acciaio nel nostro Paese”. Lo dice Maurizio Landini, segretario generale della Fiom, sempre ai microfoni di Radio 1. “Ma è altresì importante – prosegue – dare un assetto proprietario all’Ilva che riporti fiducia e ridia forza al progetto produttivo. Per questo serve un intervento straordinario, un intervento diretto dello Stato, come peraltro dice il decreto salva-Ilva, per salvare l’impresa e garantire gli investimenti”.
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Una prima riflessione sul voto amministrativo

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Pubblicato il 28 mag 2013
di Gianluigi Pegolo -
Il dato più clamoroso di questa tornata di elezioni amministrative è l’incremento dell’astensionismo. Il dato è in sé sorprendente: rispetto alle precedenti elezioni l’aumento è stato di quasi il 15%, anche se va un po’ ridimensionato, per l’effetto distorcente prodotto in quell’occasione dall’abbinamento con le politiche. In ogni caso, il logoramento del rapporto dei cittadini con la politica è del tutto evidente e che in questo la nascita del “governissimo” abbia agito come acceleratore è evidente. La dinamica dell’astensionismo richiederà un’analisi approfondita perché va chiarito chi ne è stato maggiormente penalizzato. Sono le forze politiche di governo, o qualcuna di queste in particolare o si è trattato di un fenomeno trasversale?
Le domande sono pertinenti, a maggior ragione nel momento in cui dal voto emerge un altro fatto eclatante e cioè il calo vistoso di consensi subìto dalle liste del Movimento 5 stelle rispetto alle politiche. Si tratta di un dato generale che tocca anche realtà dove Grillo aveva investito molto, come nel caso di Siena, ma anche altri comuni dove il movimento era diventato il primo partito. Per avere un’idea di ciò che si è verificato si tenga conto che in tutti i comuni capoluoghi di provincia dove si è votato (una quindicina) in nessun caso il Movimento 5 stelle è arrivato al ballottaggio. E’ senz’altro vero che il voto amministrativo presenta caratteri peculiari rispetto a quello politico, ma è pur vero che nelle precedenti amministrative casi come quello di Parma avevano indotto a ritenere possibile uno sfondamento nei livelli locali, che ora non si è più prodotto.
Accanto a questi fatti, va segnalato il successo del centro sinistra sul centro destra. Si tratta di un successo molto segnato dal risultato di Roma. Il vantaggio di Marino al primo turno sul sindaco uscente Alemanno è di tale ampiezza da non prestarsi a discussioni, ma questo risultato può spiegarsi sia con il giudizio negativo sull’operato del governo di centro-destra, sia col profilo autorevole del candidato del centro-sinistra. Potrebbe trattarsi, quindi, di un caso particolare se non fosse che anche in tutti gli altri comuni capoluoghi di provincia i risultati al primo turno sono migliori per il centro-sinistra. Solo un’analisi più dettagliata dei risultati consentirà di capire perché ciò si sia prodotto. Si noti, fra l’altro, che i sondaggi nazionali in quest’ultima fase davano in crescita il centro destra, ormai in vantaggio sul centro-sinistra. E se è pur vero che il centro sinistra ha sempre avuto nel locale il suo punto di forza, non era per nulla scontato che andasse a finire così. Si pensi al caso clamoroso di Siena dove il candidato sindaco del centro sinistra dopo il primo turno resta in vantaggio. A tale riguardo, si possono formulare più ipotesi, ivi compreso il rientro nel centro sinistra di una parte di consensi strappati da Grillo nelle scorse politiche, ma si tratta per l’appunto d’ipotesi che andranno verificate.
Questa dinamica complessiva costringe le forze di alternativa a una riflessione. In primis, è necessario un bilancio dei risultati ottenuti in questa consultazione elettorale. Mi limito per il momento a un esame dei comuni capoluoghi, riservandomi in un’altra occasione di intervenire sull’insieme dei comuni maggiori. Il caso più significativo è quello di Roma, dove il risultato della coalizione formatasi intorno alla candidatura di Sandro Medici è stato al disotto delle aspettative, nonostante la qualità della proposta politica e la generosità dello stesso candidato sindaco. E’ evidente che la contrapposizione fra un sindaco uscente dichiaratamente di destra e uno schieramento di centro sinistra, per di più guidato da una personalità prestigiosa, ha penalizzato in modo rilevante lo schieramento alternativo. Questo risultato influenza in modo negativo il giudizio complessivo sulle performance della sinistra di alternativa in queste elezioni, ma è necessario estendere l’analisi anche agli altri comuni capoluoghi.
La dinamica del voto utile, infatti, non ha sempre agito nello stesso modo a livello nazionale. In alcuni casi, infatti, si sono avuti risultati positivi, laddove il PRC insieme con altre forze si collocava in alternativa al PD. E’ il caso di Imperia, dove la lista SEL-PRC ottiene con il suo candidato sindaco l’11,2%, di Siena dove la coalizione di tre liste raggiunge il 10,2%, di Ancona dove la alleanza fra la  lista PRC-PDC e quella di SEL ottiene il 9,5%, di Pisa, dove la coalizione fra PRC e una lista di movimento raggiunge l’8%. Nel complesso, quindi, la possibilità di dar vita a poli autonomi di sinistra nelle elezioni amministrative in grado di ottenere risultati non marginali, trova una conferma in questo voto amministrativo, ma con alcune doverose precisazioni. La prima è che la qualità politica del polo alternativo e la sua dimensione sono essenziali ai fini del risultato. Dal voto, infatti, emerge che nel caso in cui il PRC scelga una collocazione alternativa in solitaria, cioè con la propria lista e senza un sistema minimo di alleanze, è penalizzato in alcuni casi anche duramente.
Naturalmente in queste elezioni le forze alla sinistra del PD hanno spesso partecipato ad ampie coalizioni di centro-sinistra in diverse realtà. Rispetto ai comuni capoluoghi, il PRC era presente in circa un terzo dei casi nel centro sinistra. Il vantaggio principale ottenuto nella presentazione nelle coalizioni di centro sinistra è il beneficio derivante in caso di vittoria dalla spartizione del premio di maggioranza, ma al momento mi è impossibile quantificare i risultatai ottenuti dal PRC in termini di seggi. Il giudizio sui risultati ottenuti in questi casi è inoltre reso problematico dal fatto che  il PRC era sempre presente in liste unitarie di sinistra, se si esclude il caso di Massa. In ogni caso, dal punto di vista delle percentuali ottenute dalle liste unitarie, mediamente positive, va segnalato in particolare il buon risultato delle liste unitarie di Barletta e Lodi dove si supera, in entrambi i casi, l’8%.
Questi primi elementi emergenti dall’analisi del voto attendono di essere integrati con un’analisi più puntuale (partendo dai valori assoluti, anziché da quelli percentuali) e più complessiva (investendo anche il resto dei comuni superiori), ma già ora indicano quale sia il problema politico di fronte al quale si viene a trovare la sinistra di alternativa nei governi locali. Essa non solo deve fare i conti con una maggiore articolazione politica a seguito dell’affermazione accanto ai due poli principali del Movimento 5 stelle, ma non può facilmente contare sul logoramento del centro-sinistra a seguito della sua collocazione politica nazionale. L’ambito locale rimane una realtà con peculiarità particolari e il PD conserva una forza considerevole. Una sinistra può però affermarsi. E non solo se converge in alleanze di centro sinistra, ma anche se si pone in alternativa esplicita al PD, a condizione che essa sia effettivamente rappresentativa.
Per il PRC, la scelta della costruzione dell’unità della sinistra di alternativa è una strada obbligata. Non si tratta solo di una scelta politica in sé necessaria,  dettata dalla situazione politica e sociale, ma anche di un’esigenza reale, in particolare in presenza di competizioni elettorali, ivi comprese quelle locali. I dati elettorali parlano chiaro: il potenziale elettorale delle sole liste del PRC o del PRC/PDCI non è sufficiente a garantire una rappresentanza nella maggior parte dei  governi locali. L’unità è pertanto obbligata nei casi di collocazione alternativa al centro-sinistra, ma lo è ormai in molti casi anche quando viene scelta una collocazione interna al centro sinistra. Non è un caso se spesso in questa tornata elettorale si sono costruite liste unitarie di sinistra con biciclette o sottoforma di liste civiche. La costruzione di questa sinistra può partire dalle realtà locali, ma va proiettata in una dimensione nazionale. Le esperienze unitarie che sono state attivate in queste elezioni ce ne offrono un’occasione.


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lunedì 27 maggio 2013

"A Pomigliano la Fiat vuole lo scontro ma incontrerà la nostra resistenza"

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Stefano Birotti è rappresentante sindacale della Fiom a Pomigliano. Nonostante nessuno ne parli, meno che mai la politica, ma a Pomigliano il piano Fabbrica Italia va avanti con tutte le sue discriminazioni e ingiustizie.
Durante le elezioni alcuni comapagni erano andati da Epifani che sembrava molto interessato a quello che stava accadendo a Pomigliano, anche perché da ex sindacalista capiva perfettamente di cosa stavamo parlando. Finite le elezioni non si è visto e sentito più nessuno.
Nonostante la produzione tiri la Fiat tira dritta con la sua poiltica…
Attualmente a Pomigliano stanno producendo circa 420 vetture a turno. I lavoratori si stanno massacrando di fatica. Non c’è giorno in cui non arrivano notizie dall’infermeria. I malumori stanno crescendom e le Rsa dei sindacati firmatari onde evitare caos e problemi hanno anche tentato di incontrare l’azienda ma senza alcun risultato.
Chiedendo cosa?
Di fronte al fatto che c’è un numero consistente di vetture da produrre hanno chiesto il terzo turno. L’azienda gli ha risposto che la richiesta non poteva essere accolta perché l’aumento non era strutturale ma temporaneo. E invece di concedere il terzo turno e quindi il rientro dei lavoratori dalla cig ha imposto di fare due sessioni di turnazione il sabato “di recupero”.
Andando contro l’accordo…
Sì, certo, l’accordo diceva che il sabato lavorativo sarebbe partito solo con il terzo turno. Come avevamo detto noi della Fiom, solo con la Panda in produzione non si poteva far girare i lavoratori su tre turni.
E le Rsa cosa hanno fatto?
Le Rsa hanno abbassato la testa e hanno accettato. Comunque noi il 15 e il 22 giugno saremo là fuori ad intralciare il loro disegno. Stiamo parlando con tutti lavoratori anche con la ex Ergom di Napoli e il reparto Fiat di Nola. E’ vero siamo fuori ma sappiamo che dentro c’è molta rabbia. Ci sono molte disdette di tessere sindacali. Addirittura, momenti di forte tensione tra delegati e lavoratori. C’è rabbia.
Perché, cosa sta accadendo?
Ho l’impressione che l’azienda voglia misurare fino a che punto i lavoratori siano disposti a cedere. Arrivano richieste sempre più assurde, e i lavoratori stanno al limite. Addirittura gli “aziendalisti” sono costretti alla malattia.
Cosa dici dell’imminente trasferimento della Fiat in Usa?
La cosa era chiara fin da tre anni fa. Queste vicende non fanno altro che darci ragione. E’ sempre più chiaro che voglia abbandonare l’Italia e che sta facendo gli interessi degli azionisti e della famiglia.
Che iniziative intendete sviluppare?
Abbiamo cercato di far partecipare gli ambiti della politica locale. Al momento c’è poco interesse ma noi non demordiamo. Stiamo avendo alcuni incontri con i parlamentari, come il vicepresidente della Camera. Ci stiamo organizzando per altri incontri.
State organizzando anche una cassa di resistenza?
In virtù del fatto che le famiglie dei cassaintegrati hanno bisogno abbiamo istituito una associazione no profit per sostenerle. Il presidente onorario è Stefano Rodotà. “Siamo tutti Pomigliano: diritti al lavoro”.


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domenica 26 maggio 2013

Ilva, governo: “Senza soldi per bonifica società nazionalizzata su modello Eni”

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Francesco Boccia, presidente della Commissione bilancio alla Camera, avverte che se la famiglia Riva non è in grado di mantenere gli impegni presi è necessario un intervento dello Stato. I ministri dello Sviluppo economico e dell'Ambiente sono al lavoro per valutare le strade da percorrere

Nazionalizzare l’Ilva? E’ una ipotesi da considerare. Parola di Francesco Boccia, presidente della Commissione bilancio alla Camera e quindi uomo del governo Letta. “Se la famiglia Riva non è in grado di mantenere gli impegni presi, ovvero fare le bonifiche che erano state concordate con lo Stato, non vedo alternative che un intervento dello Stato”, ha spiegato il deputato del Pd, sottolineando che “quando non ci sono privati in grado di produrre un bene ritenuto essenziale dal Paese è giusto nazionalizzare e in questo caso temo non ci siano”.
Una possibilità, secondo Boccia, è rilevare una parte della società basandosi sul modello Eni, dove il capitale pubblico controlla una quota di maggioranza relativa e il resto dell’azienda è quotato in Borsa. “Si vedrà ora in Parlamento”, ha detto, “ma non bisogna perdere tempo perché siamo in fase di emergenza“. Il deputato Pd ha poi chiarito che i ministri dello Sviluppo economico e dell’Ambiente, Flavio Zanonato e Andrea Orlando, sono impegnati a determinare lo stato di attuazione delle prescrizioni Aia (Autorizzazione integrata ambientale) e, al termine delle considerazioni, diranno se sarà necessario considerare altre strade per risolvere il problema dell’Ilva, tra cui la nazionalizzazione.
Boccia, sulla base dell’esperienza come commissario liquidatore dell’organo straordinario di liquidazione del dissesto finanziario di Taranto (dal 2006 al 2008), ha spiegato che l’Ilva “non è un’azienda ordinaria, perché è più grande della stessa città, e non può permettersi di continuare a produrre disastri ambientali“. E ha ricordando che era chiaro da subito che il controllo di garante previsto dalla legge non bastasse. Bisognava invece intervenire con la formazione di un comitato di gestione cui affidare le operazioni di bonifica, formato da rappresentanti di azienda, istituzioni e lavoratori, e da un’autorità che verifichi lo stato dell’inquinamento ambientale.
Non è la prima volta che si parla di nazionalizzazione dell’Ilva. Nello sciopero a oltranza di metà gennaio indetto dal sindacato Usb per garantire i diritti dei dipendenti dell’azienda pugliese, che ha portato Palazzo Chigi a convocare un vertice d’urgenza, i lavoratori chiedevano a gran voce tra le altre cose l’immediata nazionalizzazione dell’impresa. Ma l’intervento dello Stato, seppur considerato dall’esecutivo, è per ora soltanto una ipotesi. “Il governo deve valutare adesso se la siderurgia è considerato un settore fondamentale”, ha detto Boccia, sottolineando che “l’Ilva non può chiudere e chi ha sbagliato deve pagare”.
La squadra di Letta ha però già avvertito di non essere intenzionata ad abbandonare l’azienda di Taranto. “Se l’Ilva si ferma, possiamo dire addio all’industria siderurgica e avremo problemi con l’industria meccanica“, ha dichiarato il ministro Zanonato, dopo le dimissioni a catena dal Cda dell’azienda pugliese, chiarendo che il polo dell’acciaio deve rimanere italiano. Ciò che serve ora, secondo Boccia, è trovare al più presto una soluzione. “Le bonifiche devono essere fatte dall’attuale azionista ora o dallo Stato domani, mettendo le mani sull’azienda”, ha concluso. “Altrimenti non si può più andare avanti”.


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sabato 25 maggio 2013

Rimborsopoli lucana «Quanto vuoi per negare che facevo la cresta?»

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«Mi chiese quanto volessi per ricomporre la questione». Il consigliere regionale Mario Venezia (Fratelli d’Italia) cercò di intervenire su uno dei giovani della sua segreteria dopo la convocazione degli investigatori. Il racconto del ragazzo è contenuto in un verbale di due pagine depositato dagli investigatori pochi giorni prima della notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari dell’inchiesta sui rimborsi «scroccati» dai consiglieri regionali alla Regione Basilicata.

Daniele Dragonetti, convocato come testimone dai carabinieri (dopo essere già stato sentito dalla Guardia di finanza nel mese di dicembre del 2012), ha dichiarato: «Preoccupato per la convocazione della Guardia di finanza, ho chiamato Mario Venezia per ricevere qualche delucidazione. Il consigliere mi chiese di incontrarlo di persona. La sera, quindi, ci incontrammo in un bar di Montescaglioso. Venezia, intuendo il motivo della convocazione, si raccomandò che in caso me lo avessero chiesto, dovevo riferire che con lui avevo solo una collaborazione sporadica e non a tempo pieno come invece era».

Gli investigatori ritengono che Venezia sui compensi di alcuni suoi collaboratori, tra cui Dragonetti, facesse la «cresta», trattenendo per sé parte dello stipendio. Dice Dragonetti: «Venezia mi disse di ricontattarlo immediatamente il giorno dopo, una volta terminata la mia escussione. Ricordo che si raccomandò anche di usare cautele nella comunicazione telefonica. In particolare, essendo lui un medico, io dovevo dirgli di sentirmi poco bene e quindi chiedere un incontro per una visita medica. In quella circostanza mi diede 50 euro, visto che andavo a Potenza per colpa sua. Io, dopo l’escussione, non lo chiamai. Fu lui a chiamare con insistenza, con numeri che poi ho scoperto essere di sua madre e della clinica per cui lavora. Non avendo ricevuto risposta - sostiene il testimone - Venezia mi si presentò sotto casa e attese nonostante la pioggia battente. Quando rientrai, aprì la portiera della mia auto e entrò. Era in evidente stato di agitazione. Gli chiesi di andare via».

È in quel momento, stando al racconto del testimone, che Venezia gli avrebbe proposto: «Venezia - si legge nel verbale - dopo avermi chiesto se fosse mia intenzione costituirmi parte civile nei suoi confronti, tirò fuori il portafogli chiedendomi quanto volessi per ricomporre la questione. A quel gesto minacciai di chiamare la Guardia di finanza. Uscì dall’auto e si allontanò». E i 50 euro che gli diede per raggiungere Potenza? Racconta Dragonetti: «Glieli restituii, con l’aggiunta di 70 centesimi, in busta chiusa, tramite un suo nipote, accompagnandola con il seguente messaggio scritto a penna. “La dignità non si acquista con una laureo o con titoli e cariche ormai decadute. Non la si acquista con soldi. E io ne ho più di te. Riprenditi questa banconota da 50 euro che mi hai dato per andare a Potenza. Affinché quel viaggio serva a dare giustizia alla gente onesta. I 70 centesimi sono per un caffè. Meglio se lo prendi da solo, magari ti abitui”. Da allora non ho avuto più contatti con lui».
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