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martedì 26 marzo 2013

Fiom pronta a scendere in piazza mentre gli altri tergiversano. Cisl e Ugl: "Larghe intese"

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La Fiom annuncia di essere pronta a scendere in piazza, mentre i vertici di Cgil, Cisl e Uil sono impegnati con Bersani nei cosiddetti colloqui esplorativi. Stride un po’ il quaddro sindacale alla luce dell'avvio delle consultazioni del premier incaricato. Il leader della Fiom, Maurizio Landini ha detto chiaramente davanti al suo Comitato centrale che se le cose non cambiano ci sono gli estremi per rimettere in marcia i lavoratori a sostegno di una piattaforma su politica industriale e rappresentanza. I tre segretari di Cgil, Cisl e Uil, che spingono per un esecutivo rapido e concreto, pensano che la cosa migliore da fare sia vedersi un "ragionamento comune" su fisco e taglio dei costi. Addirittura Cisl e Ugl vedrebbero di buon occhio anche un governo di larghe intese. Il segretario generale della Fiom non si fa tante illusioni e chiede il mandato ''per una grande manifestazione a maggio''. Landini ha spiegato che sono partite gia' venerdi' scorso lettere inviate a tutte le forze politiche per chiedere un confronto sulla situazione industriale del Paese, aperto ad altre categorie della Cgil (come la scuola), per ''una fotografia della situazione'' e per ''presentare le proposte della Fiom''.
Secondo i leader di Cgil, Cisl, Uil e Ugl., la situazione economica e sociale richiede un governo subito, non si puo' più aspettare. E un nuovo voto sarebbe un rinvio ulteriore delle risposte ai problemi. La piu' speranzosa che il tentativo di Bersani vada in porto e' la Cgil. Susanna Camusso sottolinea la "situazione economica sempre piu' difficile che ha bisogno di tantissimi interventi e riforme ma anche di misure urgenti. Se non si ferma il degrado e il tracollo- avverte- parlare di riforme non appare particolarmente utile". Per la Cgil "serve un governo che indichi alcuni cambiamenti fondamentali anche in termini di emergenza". La Uil, con Luigi Angeletti, elenca una serie di interventi necessari soprattutto sul fronte dei costi della politica. "Le affermazioni di Bersani - spiega Angeletti - confortano la nostra richiesta, condividendo la necessita' di dare questi segnali e di darli in maniera radicale".

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La democrazia è un'apriscatole in braccia agli operai

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Aveva 39 anni, era madre di due bambine. Era un'operaia tessile del biellese ed e mortà sul lavoro, per portare a casa il suo stipendio. Le agenzie scrivono che è stata ghermita da una macchina e che i suoi colleghi l'hanno sentita urlare, ma per lei non c'è stato niente da fare. A seguire i dati sul lavoro si apprende che si muore tutti i giorni, così come si muore perchè il lavoro lo si perde. E' la crisi e la competitività che impongono il loro conto che, guarda caso, pagano sempre gli stessi. Nell'Italia che ha bisogno di eroi per ripulirsi ad ogni elezione la propria coscienza collettiva, gli eroi normali, i lavoratori e le lavoratrici, non fanno notizia e se la fanno non diventano comunque oggetto di discussione politica. C'è per caso qualcuno in questi giorni che ha messo qualche paletto per loro in questo parlamento?  No, perchè non va di moda parlare dei loro diritti. Eppure  ci sarebbe un gran bisogno di aprire come una scatoletta le fabbriche di questo paese, per renderle trasparenti. Tutte le fabbriche, quelle grandi e quelle più piccole. Già, perchè dei ricatti che i nostri lavoratori e lavoratrici subiscono, ci si scorda troppo facilmente. Ci si dimentica con troppa leggerezza che in questo paese la democrazia e la Costituzione hanno valore fuori dei cancelli dei luoghi di lavoro, ma non dentro. Pensate a Marchionne ad esempio, a come ha trattato  chi non ha piegato la testa alle sue direttive. Se ci si pensa bene è questo il discrimine vero tra un liberale e quelli "vintage" come noi, per un liberale si può aprire il parlamento come una scatoletta ma non una fabbrica. E' su quell'idea intangibile della proprietà privata come intoccabile tabù che non ci si intende. E' il limite questo, che chi cammina in nome della giustizia sociale vorrebbe attraversare,  che si divide la destra dalla sinistra. Una polarizzazione questa che in molti vorrebbero far scomparire in nome di una comunità nazionale, organica, che insieme lotta contro la crisi e che cancella di fatto ogni conflitto sociale. Un'idea questa che accomuna tutti, da Grillo a Napolitano. In queste settimane un martellamento senza precedenti sta cercando di far passare nell'opinione pubblica che per quanto riguarda le controriforme del lavoro il capitolo è chiuso. Lo si fà mettendo in agenda altre questioni come i costi della politica che però non sposteranno di un cm la condizione generale verso il basso in cui è diretto il mondo del lavoro in italia. Questo soggetto scomposto e rabbioso che la crisi la paga tutta, resti pure frammentato e scomposto a guardarsi il Gabibbo e schiumare di rabbia contro i politici su Facebook. Nei luoghi dove produce ricchezza però non è ammessa nessuna diretta streming verso l'esterno e gli apriscatole sono vietati per legge.

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lunedì 25 marzo 2013

Iveco Spagna, la sfida di Marchionne tra aiuti pubblici e libertà di licenziare

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Antonio osserva l’aereo appena decollato dall’aeroporto di Barajas. È a poche centinaia di metri, dall’altra parte della A-2, che da Madrid porta a Zaragoza. Alle sue spalle, con l’ingresso sovrastato da due torrette di vigilanza in stile franchista, lo stabilimento dell’Iveco, dove Marchionne investirà 500 milioni di euro nei prossimi 4 anni. Grazie ai contributi pubblici (che ha detto di non voler più accettare in Italia) e soprattutto con libertà di licenziare.
Lo stabilimento, fino al 1992 era di Pegaso, la marca dell’azienda nazionale di automobili spagnola, come ricorda l’insegna ancora scolpita sulla facciata. Un guardrail in cemento porta le cicatrici di anni di lotte sindacali: “Italianos mafiosos”, “Iveco Corrupta”. Per Antonio e per altre 40 persone è stata la sede di lavoro solo per due settimane, lontano dalla famiglia e dalla fabbrica di Brescia, dove la Fiat gli promise, anni fa, un posto fisso. Ora si trovano in trasferta con la cassa integrazione sulle spalle. Questa volta è toccata la capitale spagnola: “Qui c’hanno tanto lavoro”, assicura Antonio, una polo blu griffata Iveco e la fronte sudata dopo 8 ore in catena di montaggio. Parecchio lavoro da quando la ditta ha deciso di spostare il grosso della produzione dello stabilimento di Ulm, in Germania – dove ora si producono solo veicoli antincendio – alla periferia di Madrid. Un accordo da mezzo miliardo di euro e 1.200 posti di lavoro tra la capitale e Valladolid entro il 2016, come Marchionne ha garantito al Premier spagnolo, Mariano Rajoy.
L’investimento è sembrato un miracolo alla Spagna in recessione: empleo, posti di lavoro, almeno 600 entro il 2012 per produrre i nuovi camion Stralis ed Euro 6. Con un “sostanzioso aiuto pubblico” garantito dal Governo, concretizzato lo scorso 28 di dicembre in 20 milioni di euro, di gran lunga il piú quantioso tra quelli concessi nel settore dell’ automazione. “Qui si produce tutto nel centro, ad Ulm si assemblava solamente”, si giustificano dell’azienda. Quando si propone questa versione agli operai spagnoli, però, la risposta è una smorfia ironica. “Certo, è un cambio importante” – commenta uno di loro, appena entrato con un salario da 14mila euro annui e la speranza di diventare a tempo indeterminato tra un anno – “ma qui gli stipendi sono più bassi che in Germania. Y despedir es más barato”, licenziare è più economico.
Nella Spagna con un 25% di disoccupazione l’accordo a cui è arrivata Iveco con i sindacati garantisce la libertà di licenziare per giusta causa e con 20 giorni di indennizzo per anno se solo si prevedono “riduzioni nella produttività“. Una “clausola” che accompagnerà il lavoratore per tutta la sua permanenza nell’ azienda. Il cambio di produzione, inoltre, obbliga a contrattare nuovi lavoratori, ma di una categoria inferiore, con un taglio sugli stipendi di 3.000 euro in 3 anni. Tutto regolare grazie alla riforma del lavoro approvata solo tre mesi prima dell’ annuncio dei nuovi piani di Iveco. “Per questo, in giugno, noi non firmammo l’ ultimo accordo”, spiega Heriberto Tella, rappresentante del sindacato Cgt, uno dei tre nello stabilimento. “Perché non stanno importando, in Spagna, solo posti di lavoro, ma salari più bassi, esattamente come noi stiamo esportando mano d’opera economica”. Flessibilità ed efficienza dunque, per produrre 96 camion al giorno, meno dei 124 del 2001 ma molti di più dei 22 che nel 2008, al limite del fallimento, sfornava la fabbrica.
I lavoratori dello stabilimento di Madrid hanno vissuto sulla propria pelle gli sbalzi nei piani della Fiat, le esigenze di “flessibilità“. A dimostrarlo, gli 11 procedimenti di licenziamento collettivo (Expedientes de Regulación de Empleo, in spagnolo) che l’azienda ha portato al compimento dal 2008 ad oggi. “Il più duro fu nel 2009?, ricorda Tella, che nell’ ex-Pegaso lavora da 35 anni: “Ho lottato contro i fascisti di Franco, e ora tocca continuare a lottare”. In quell’ anno, 1024 lavoratori su 2.600 rischiarono di dover fare le valigie. “L’ azienda aveva accumulato più di 51 milioni di benefici nell’ anno precedente, ma mise sul tavolo mille lavoratori come ostaggio: o il Governo mi aiuta, o chiudo”, ricorda Tella. E dopo le proteste, gli aiuti, nella Spagna che iniziava a soffrire gli effetti dello scoppio della bolla immobiliare, arrivarono. 15 miliardi di euro, che permisero la cassa integrazione per 350 lavoratori durante 2 anni. Alberto, 36 anni di cui gli ultimi 10 in catena di montaggio, passò da tutti gli 11 ‘espedienti’. “Era un dentro fuori continuo”, ammette. Non puó vedere nulla di male, quindi, nella “scommessa su Madrid” che l’ Ad di Fiat annunciò a giugno.
La decisione fu presa nell’ ambito della “riorganizzazione” delle strutture europee, un cambio di strategia che ha fatto riunire a Torino i sindacati di vari paesi, Spagna compresa, per chiedere alla Fiat di trattare con i sindacati a livello comunitario, e non fabbrica per fabbrica. “Ma Marchionne è troppo furbo“, ridacchia Joaquín, rappresentante del sindacato Comisiones Obreras, il maggiore in Spagna. Ora, però, applaude l’ Ad Fiat: “La sua decisione è per noi un beneficio”. “Vogliamo una produzione industriale forte”, assicura, per un Paese che è il secondo produttore di automobili in Europa. Allarga le braccia sconsolato, però, quando gli si ricorda il prezzo da pagare per la “riorganizzazione”: negli ultimi due anni, 600 lavoratori licenziati a Barcellona, con la chiusura di Iribus e di Comesa, dove Iveco produceva autobus e relativi componenti meccanici. “Ma c’è bisogno di essere flessibili, di adattarsi. È quello che vogliono i mercati”, risponde rassegnato il sindacalista. Gli operai venuti da Brescia lo sanno bene
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giovedì 7 marzo 2013

Montescaglioso si oppone alle trivelle e chiama Miglionico e Pomarico

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Ignorate dalla Regione le decisioni del Consiglio Comunale di Montescaglioso. Il sindaco Giuseppe Silvaggi si oppone alle trivellazioni nel suo territorio. Il primo cittadino montese ha espresso parere contrario al permesso di ricerca idrocarburi  denominato “il Perito”, 91,39 kmq. all’interno dei Comuni di Montescaglioso, Pomarico e Miglionico. Questo permesso di ricerca è affidato alla società inglese con sede a Edimburgo, Delta Energy Ltd, non iscritta ad Assomineraria e rappresentata legalmente in Italia dallo studio commerciale Turco di Matera. Attualmente, come fase procedurale, il permesso “Il Perito” è alla Via, Valutazione di impatto ambientale, da parte dell’Ufficio Compatibilità Ambientale della Regione Basilicata. Il sindaco Silvaggi, non solo è contrario allo sfruttamento minerario del suo territorio, ma è «fortemente amareggiato per la mancata considerazione, da parte dei funzionari regionali, delle decisioni maturate in seno al Consiglio Comunale montese». La quale assise, nel mese di dicembre 2011, aveva già espresso parere sfavorevole alla istanza di ricerca mineraria del territorio presentata dalla società Delta Energy Ltd. Lo stesso sindaco informa che sta «attualmente provvedendo alla convocazione di un nuovo Consiglio Comunale straordinario nel quale discutere la situazione e i provvedimenti ritenuti più utili». Dove verrà proposta, «per un’attenta e proficua valutazione nonché al fine di controllo della situazione, la creazione di un apposito Comitato composto dal sindaco, dall’assessore all’ambiente, dalle associazioni ambientaliste e da rappresentanti del Consiglio comunale».
La Concessione “Il Perito” è un perfetto quadrilatero che si incunea nei territori dei quattro comuni materani. È qualche chilometro sotto la diga di San Giuliano, lambisce il Parco naturale archeologico delle chiese rupestri e si dipana tra i fiumi Basento e Bradano, in mezzo ai campi di grano dei pianori alti del Metapontino.
Secondo gli ambientalisti, con la concessione “Il Perito” si continua la «svendita del territorio lucano e il suo sfruttamento a vantaggio di una pratica economica che finora ha portato pochi spiccioli nelle casse della Regione e dei Comuni coinvolti, e col rischio di favorire l’inquinamento delle falde idriche e dei terreni». Opinione che sembra condivisa da Silvaggi, il quale ha dichiarato di voler organizzare un «ulteriore Comitato, chiamando a farne parte i sindaci di Miglionico e Pomarico, gli altri due Comuni coinvolti nell’attività esplorativa di ricerca degli idrocarburi liquidi e gassosi» e ha svelato di aver «interagito più volte con il presidente della Giunta regionale, Vito de Filippo, per risolvere la questione. Continuo a nutrire fiducia nel lavoro della giunta regionale di centro-sinistra – ha dichiarato Silvaggi –, ma  lo stato di allerta prosegue e si garantisce massima attenzione dell’amministrazione verso tematiche della massima importanza quale è quella dell’ambiente e del territorio». [Enzo Palazzo - La Gazzetta del Mezzogiorno 3/8/2012]
Sono tre le istanze della Deta Energy ltd
MONTESCAGLIOSO – E tre. La delta Energy nell’ultimo mese ha incamerato i permessi di ricerca “Il Perito”, la “Bicocca”, all’interno dell’area produttiva dell’aglianico del Vulture, e la “Capriola”. Quest’ultimo permesso di ricerca, che è alla fase iniziale “pre-cirm”, ha un’estensione di 188 kmq., riguarda i Comuni di Bernalda, Montalbano Jonico, Montescaglioso e Pisticci e ha al suo interno zone di valenza ambientale e paesaggistiche internazionali, come l’area murgiana, il lago di San Giuliano e la Riserva del Geosito di Montalbano. Al momento non risulta che i Comuni interessati si siano opposti, nonostante questo permesso di ricerca abbia anche un vizio di fondo: si sovrappone ad altri permessi di ricerca già assegnati ad altre società minerarie. e.p.
No dal Comune di Pisticci alla Delta Energy Ltd
In data 30 gennaio 2013 è pervenuta ai Comuni di Bernalda, Montalbano Jonico, Montescaglioso, Pisticci e Pomarico, da parte della Società inglese Delta Energy Ltd , la richiesta di attivazione della procedura di verifica “screening” relativa all’istanza di permesso di ricerca idrocarburi denominato “La Capriola” che interessa una superficie di 188,10 Kmq, presentata presso il Ministero dello sviluppo Economico il 30 marzo 2012. Si tratta – spiega una nota diffusa dall’Ufficio del sindaco di Pisticci – di trivellazioni funzionali alla ricerca e coltivazioni di idrocarburi nei territori dei comuni citati. La procedura prevede che eventuali osservazioni, istanze e pareri devono pervenire entro 45 giorni dalla pubblicazione dell’Avviso di procedura di Verifica “Screening”, al Dipartimento Ambiente della Regione Basilicata.
Ricerche ed estrazioni petrolifere, che determineebbero a regime, incidenze negative per l’ambiente e sicuramente in antitesi, con i nuovi decreti e politiche della “green economy”, come, ad esempio, il decreto legislativo 250/2012, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 28 gennaio, entrato in vigore il 12 febbraio e che modifica il decreto legislativo 155/2010, sul recepimento della qualità dell’aria dell’ambiente. Dove, appunto, gli obbiettivi principali della disciplina sono i materiali particolati minuti (PM10 e PM 2,5), gli ossidi di azoto, gli Ipa (idrocarburi policiclici aromatici), i Cov e i precursori dell’ozono.
Peraltro, è utile sottolineare che l’area interessata, ha valenze ambientali, naturalistiche e paesaggistiche importanti con la presenza di IBA (Important Bird Area), SIC e ZPS ed aree umide di interesse internazionale (Riserva Naturale Lago San Giuliano), i Calanchi, il parco Regionale della Murgia Materana, etc.
Il Comune di Pisticci, per queste ed altre motivazioni tecniche, come già affermato per altre istanze, in tema di prevenzione e sicurezza ambientale, qualità della vita e della salute umana, – conclude il comunicato -  si dice fermamente contrario all’ipotesi di ulteriori indagini e trivellazioni sul territorio, nella convinzione che queste comporterebbero sicure ricadute negative”.


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Chavez è morto, la lotta per il socialismo continua

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Scritto da Mauro Piredda   
Giovedì 07 Marzo 2013 11:09
"¡Chávez vive, la lucha sigue!". All'annuncio della morte del presidente venezuelano da parte del suo vice Nicolás Maduro, migliaia di venezuelani si sono riversati nelle strade di una Caracas ancora una volta “roja rojita” per manifestare la propria commozione insieme al desiderio di portare a termine la rivoluzione bolivariana.
Questa commozione, alla quale ci uniamo, è totalmente condivisibile. Chávez rappresentava ai loro occhi la rivoluzione, il loro risveglio all’attività politica. Chávez è stato l’uomo che negli scorsi 14 anni ha combattuto al loro fianco contro l’imperialismo e l’oligarchia e ha fornito a tutti gli sfruttati e ai diseredati del Venezuela la speranza che le cose potessero cambiare.

Gli avvoltoi del capitale già si scatenano

Questo popolo, che da tempo ha deciso di prendere per mano il proprio destino, è da sempre ignorato e insultato da cronisti prezzolati, o al limite usato come destinatario di promesse non mantenute. Per i mass media al servizio dei padroni chi difende la rivoluzione e crede negli ideali del socialismo è “ignorante” e colui che ha proposto queste idee e le ha rese popolari è un “caudillo autoritario”.
Vediamo quindi nelle parole dei pennivendoli della borghesia non solo una grande miseria umana, ma anche tutto il disprezzo per le masse popolari. E soprattutto il terrore per la popolarità e il consenso che le idee del socialismo godono tra esse.
Una rivoluzione portata a termine e un Venezuela socialista farebbero infatti ancor più male all'establishment capitalista mondiale. Non è un caso che, nelle parole di Obama, «gli Stati uniti confermano il loro appoggio al popolo venezuelano» e salutano «l'apertura di un nuovo capitolo». Non ci vuole una grande immaginazione per interpretare le reali intenzioni di Washington, ossia sbarazzarsi delle conquiste ottenute durante i 14 anni di presidenza di Hugo Chávez. Con le buone, se ciò è possibile. D'altronde quel “sostegno al popolo venezuelano” non è mancato nel 2002, in quel golpe fallito proprio grazie alla reazione dell'altro popolo, quello che non veniva teletrasmesso dalle tv locali che in quelle ore preferivano palinsesti cartoonistici.
Ebbene, nonostante quel golpe, e nonostante il fatto che uno dei suoi artefici (Henrique Capriles Radonski) abbia potuto sfidare liberamente Chávez alle ultime presidenziali, si continua a riprodurre un set dove protagonista era “il caudillo”, “il dittatore”, “il satrapo” che ha fatto piazza pulita di diritti umani e libertà di stampa! A conferma di ciò si faccia una rassegna stampa tra i quotidiani italiani che citano la discussa ong “Human Right Watch” ma non (un esempio fra tanti) le incensurate copertine del quotidiano “Tal cual” che hitlerizzavano il presidente.

Le conquiste e i limiti della rivoluzione

Tra le altre cose non citate, ovviamente, troviamo le conquiste rivoluzionarie che stanno alla base del consenso mantenuto da Chávez in questi anni. Secondo la commissione economica dell'Onu per l'America Latina il tasso di povertà è stato ridotto del 21% dal 1999 al 2010. A ciò si aggiunge lo sradicamento dell'analfabetismo e l'assistenza medica gratuita per le fasce più povere della società. Con la “Misión Vivienda” sono state costruite abitazioni e con la recente “Ley del Trabajo” è stata ridotta la settimana lavorativa da 44 a 40 ore aumentando le garanzie per le lavoratrici in maternità.
Caracas, 6 marzo: le masse accompagnano il feretro di Chávez
Dii fronte alle diverse nazionalizzazioni nei settori estrattivo, siderurgico, manifatturiero e bancario, non si è tuttavia portata a termine la totale pianificazione dell'economia con il controllo dei lavoratori lasciando il possesso delle principali leve economiche ai grandi gruppi industriali e finanziari e limitando l'intervento statale a mera regolazione. Con la complicità, va detto, dalla burocrazia presente all’interno dell’apparato dello stato e nel movimento bolivariano.
Al tempo stesso un limite per lo sviluppo della rivoluzione è rappresentato dall'abbandono della proposta di costruire la V Internazionale. Lanciata dallo stesso Chávez nel novembre 2009 in occasione del congresso fondativo del Psuv essa avrebbe potuto dare un impulso non solo alla lotta di classe su scala mondiale che, oggi, ha raggiunto il continente europeo, ma anche intervenire in modo corretto di fronte alle rivoluzioni del mondo arabo, impedendo la penetrazione dell'imperialismo nei contesti libico e siriano. Portare avanti queste posizioni è il più grande omaggio che possiamo rendere a Hugo Chávez e rappresenta il più grande atto d'amore che si può nutrire nei confronti della rivoluzione bolivariana che oggi vive un momento particolarmente difficile.

Le prospettive della rivoluzione bolivariana

Pur consapevoli della statura politica del presidente Chávez non siamo interessati ad analisi sociologiche sul carisma di un dato leader e sulle conseguenze derivanti da un cambio di guardia. Se dovessimo seguire questo ragionamento dovremmo scrivere non solo l'epitaffio del leader bolivariano, ma dell'intero processo rivoluzionario. Questo non significa che, da marxisti, neghiamo il ruolo dell’individuo nella storia. Siamo semplicemente convinti (e tale convinzione è supportata dalla storia) che le azioni di singoli uomini e donne non dipendono solamente dalla loro libera volontà ma per buona parte dalle condizioni materiali esistenti. Non avremmo avuto tutto ciò senza il Caracazo del 1989 e non avremo la fine della rivoluzione con la scomparsa di Chávez. Una rivoluzione è infatti una lotta tra forze vive.
Dalle file della borghesia c'è la consapevolezza di avere a che fare con una massa di lavoratori e giovani che puntualmente hanno salvato la rivoluzione e che sono nuovamente disposti ad affrontare una dura lotta. Ma è altrettanto vero che questo particolare momento offre le maggiori opportunità a quei settori di destra della burocrazia statale e del Psuv che da tempo minano la rivoluzione dall'interno in una prospettiva riconciliatoria con l'oligarchia. Vedremo come queste tendenze si svilupperanno in relazione alle imminenti elezioni presidenziali che vedono Maduro a capo del fronte chavista.
Maduro ha ribadito che rimarrà fedele al pensiero “rivoluzionario, socialista  ed antiimperialista" di Hugo Chávez. Ma non basta fare dichiarazioni roboanti, è necessario portare a compimento il programma socialista che il presidente ha sempre difeso, attraverso l’espropriazione delle banche, del latifondo e dei capitalisti.
È necessario ascoltare la voce dei lavoratori e giovani che ieri, accompagnando il feretro di Chávez verso il palazzo presidenziale di Miraflores gridavano “El pueblo unido jamas sera vencido”, “Non torniamo a casa” e “la lotta continua”. Quel che è certo è che una precipitazione degli eventi farà crescere ulteriormente nelle masse venezuelane  la consapevolezza di avere tutta la responsabilità sulle proprie spalle. Saranno loro che raccogliendo l'eredità di Chávez, lotteranno per purgare il Psuv dalle quinte colonne della controrivoluzione, occuperanno le fabbriche difendendole con le milizie popolari, spazzeranno via l'oligarchia e condurranno il paese e l'America latina verso il socialismo e la democrazia operaia.
La Tendenza marxista internazionale, di cui Falcemartello fa parte si impegna con tutte le proprie forze alla lotta per il socialismo in Venezuela e in tutto il mondo. È l’unico modo per onorare la memoria di Hugo Chávez. Perché il presidente del Venezuela non è più con noi, ma le sue idee continuano a vivere nella lotta.




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