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domenica 26 agosto 2012

Gli operai Alcoa all’arrembaggio per indicare la rotta a Monti

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Un tuffo nel mare per non buttarsi giù. Giù dalla banchina però sì. Un gesto dimostrativo ma drammatico. Nel porto di Cagliari, occupato per tre ore nonostante la presenza della polizia che ormai non sa più come contenere la rabbia degli operai dell’Alcoa. Ogni tanto parte qualche manganellata. Niente da fare. Si scatenano. Parte anche un arrembaggio sul traghetto Tirrenia che attracca proprio in quel momento. Un blitz concordato con la questura ma preteso con motivazioni molto convincenti. Non stanno scherzando i 500 lavoratori di Portovesme, non hanno alcuna intenzione di rassegnarsi all’idea di dover spegnere gli impianti dello stabilimento. I turisti e il comandante della nave solidarizzano. Non solo lasciano fare – e dalla nave sventola uno striscione – ma applaudono anche, condividono senza nemmeno sapere il perché le ragioni di chi si sta battendo per difendere il diritto a lavorare. Verso sera, sono tutti convocati dal questore e dal prefetto di Cagliari, le «autorità» sostengono di non poter più reggere questa situazione di illegalità. «Gli abbiamo risposto che noi siamo più in difficoltà di loro e che lo riferiscano al governo», questa la risposta di Franco Bardi, segretario Fiom del Sulcis.
E’ da gennaio che la multinazionale statunitense dell’alluminio ha annunciato la riduzione della produzione del 5% a livello mondiale. Una decisione che spazzerebbe via lo stabilimento sardo che, compreso l’indotto, dà da mangiare a circa mille famiglie in una regione che registra tassi di disoccupazione drammatici. «La Sardegna è in stato di allerta sociale e istituzionale, è necessario che il governo affronti con determinazione questa delicatissima fase della vertenza» – dice il governatore Ugo Cappellacci. Invece sono otto mesi che nessuno fa nulla, o quasi, e adesso il tempo sta per scadere: il 3 settembre, in mancanza di un nuovo acquirente della fabbrica, gli impianti dovranno chiudere. Che fare? Ecco una domanda che si dovrebbe girare ai ministri allo Sviluppo e al Lavoro (Passera & Fornero) che proprio in queste ore parlano di sviluppo agitando cifre e ipotesi di crescita che nulla hanno a che fare con il mondo reale. Come una fabbrica che chiude. Gli operai ce la stanno mettendo tutta per bucare l’algida impenetrabilità dei «massimi livelli» che stanno governando senza tanti fastidi parlamentari – solo qualche politico sardo alza la voce, gli altri preferiscono tacere. Mercoledì scorso, per esempio, i lavoratori hanno bloccato l’aeroporto di Cagliari. Il 30 agosto invece saranno a Roma, in marcia da Civitavecchia, mentre il 5 settembre la «pratica» Alcoa sarà discussa al ministero dello Sviluppo.
Gianni Venturi, coordinatore del comparto siderurgia Fiom nazionale, non nasconde la complessità della missione. Che però non è impossibile. A patto che in questi giorni si riescano a sistemare alcuni tasselli dopo il definitivo tramonto della prima ipotesi di acquisto dell’Alcoa, un compratore tedesco – il fondo Aurelius – risultato poco credibile perché non aveva presentato un piano industriale definito. Innanzitutto, spiega Venturi, Alcoa deve rispettare la promessa fatta il primo agosto, e cioè l’impegno a determinare le condizioni per continuare la produzione fino al prossimo 31 dicembre, a regime rallentato, in modo che si possano valutare eventuali altre ipotesi di acquisto interessanti. «Al governo – spiega Venturi – bisogna chiedere uno sforzo maggiore per ricercare nuovi investitori industriali o favorire eventuali partnership con altri soggetti che lavorano metalli nel Sulcis, bisogna rilanciare il polo dell’alluminio in Sardegna».
Nel frattempo, dichiarazioni di solidarietà arrivano dalle forze politiche che non hanno voluto legarsi mani e piedi al governo Monti. «E’ molto grave – dice Paolo Ferrero, segretario del Prc – che a pochi giorni dalla presunta chiusura dello stabilimento non ci sia un intervento del governo per risolvere una vertenza che aggraverebbe in maniera drammatica la crisi di un territorio che già ha una disoccupazione del 33%. Bisogna impegnarsi nella risoluzione della crisi e non trasformarla in un problema di ordine pubblico». Attacca il governo anche Maurizio Zipponi, responsabile lavoro dell’Idv. «I professori la smettano di parlare a sproposito della fine della crisi e dell’uscita dal tunnel, perché l’Italia reale sta sprofondando in un baratro. Finora Monti, Passera e la prof Fornero hanno preso in giro i lavoratori dell’Alcoa».


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